La storia di Olga, il racconto di un'esule bielorussa.

Ho conosciuto la pittrice Olga Silivanchyk attraverso l’associazione Bielorussi in Italia – Supolka. Mi è stata presentata come un’esponente particolarmente attiva della comunità.

La sua storia personale aiuta a farsi un’idea di cosa significa vivere nella Bielorussia di Lukashenko. Il suo lavoro, le sue idee e l’attività politica che svolge dall’Italia per sostenere l’opposizione nel suo Paese rappresentano il fermento contro il regime di quello che molti definiscono “l’ultimo dittatore d’Europa” e che Olga chiama “Agro-Fuhrer”.

La famiglia di Olga e l’infanzia in Unione Sovietica

Olga è nata nel 1980 a Minsk, in quella che allora era l’Unione Sovietica, da una famiglia di artisti e scienziati con un profilo culturale alto. La sua storia famigliare rispecchia gli sconvolgimenti del ‘900 in quella parte del mondo. Ciò che racconta delle sue due nonne è particolarmente significativo: “due donne nate entrambe in tempi duri, una che ha dovuto abbandonare il suo paese natale a causa della guerra e l’altra che ha perso il padre durante le repressioni staliniste.”

La nonna materna era nata nel 1926 a Baku, in Azeirbaigian, figlia di un rinomato ingegnere locale. Nel 1943, con l’offensiva nazista nel Caucaso e l’assedio di Baku da parte delle truppe tedesche, la nonna di Olga abbandonò il paese insieme alla madre per rifugiarsi prima in Kazakistan e poi, a guerra finita, in Bielorussia. Fu lì che conobbe il suo futuro marito, un soldato Bielorusso di ritorno da Berlino. Dai racconti della nonna, Olga ha familiarizzato con la durezza della guerra e col dolore di chi è costretto ad abbandonare il proprio paese. “Mia nonna è stata una rifugiata di guerra, ha dovuto lasciare la sua casa ed il suo paese con una valigia in mano, attraversando il Mar Caspio su un’imbarcazione di fortuna.” ricorda Olga.

La nonna paterna era originaria della Bielorussia, nacque nel 1923, poco dopo lo scioglimento definitivo della neonata Repubblica Popolare Bielorussa sotto l’avanzata dell’Armata Rossa che istituì la Repubblica Socialista Sovietica Bielorussa. Gli anni che vanno dal ’22 all’inizio della seconda guerra mondiale coincisero con il processo di collettivizzazione forzata prima, ed il periodo delle grandi purghe staliniane poi.  Sono tempi di dure repressioni e in queste cadde anche il bisnonno di Olga, un pittore come lei: 

“Mia nonna mi ha raccontato che una notte sono venuti a prenderlo ed è stato spedito in un lager e da quel momento è letteralmente sparito. Quindici anni dopo è arrivata una lettera che comunicava che era morto”. 

Quando salì al potere Lukashenko, la nonna aveva esclamato “è finita!”. Parole ancora più forti considerando che erano pronunciate da una donna che dopo aver perso il padre in quel modo, a 18 anni si era arruolata volontaria e aveva combattuto al fronte i nazisti.  

Olga ci scherza su e dice che “più che un patriarcato la sua famiglia era un matriarcato”. In questo matriarcato Olga nasce all’inizio dell’ultimo decennio di vita dell’URSS. Di quegli anni ha un ricordo sincero: 

“Quella in Unione Sovietica è stata la mia infanzia, ed ognuno ha la propria infanzia. Io venivo da una famiglia perbene e di quegli anni ho dei ricordi bellissimi. Non ho visto la guerra, non ho conosciuto la fame. Quando è caduta l’URSS negli anni ’90 tutti abbiamo vissuto un periodo più difficile, con i negozi chiusi e le file ai supermercati. Per mesi a tavola non c’era la carne. Ma non mi è mai pesato tanto perché per me i valori erano diversi ed ero stata educata in un certo modo”. 

La presa del potere da parte di Lukashenko 

Alexander Lukashenko fu abile a presentarsi come il solo uomo in grado di gestire la crisi generata dalla caduta dell’URSS. 

“In quel momento di instabilità è riuscito ad offrire un senso di sicurezza e continuità.  A molti è apparso come la risposta al caos che segue il crollo dell’URSS, ma il prezzo è stato l’aver perso l’occasione di costruire un Bielorussia democratica ed il paese con lui è ripiombato nella dittatura”, 

pensa Olga. Membro del partito comunista sovietico, Lukashenko si era fatto un nome come direttore di un kolchoz (le fattorie statali dell’URSS) di provincia.  Nel 1994, alle prime e uniche consultazioni riconosciute come libere dalla comunità internazionale in Bielorussia, viene eletto presidente e da allora non ha più lasciato il potere, governando il paese con il pugno di ferro. Il Lukashismo, come molti dell’opposizione definiscono il modello imposto da Lukashenko, è un insieme di visione nostalgica del passato sovietico, controllo totale dello Stato sull’economia, retorica machista, culto della personalità e uso sistemico della violenza politica.

Olga ha 14 anni quando Lukashenko prende il potere in Bielorussia. Lei è un’adolescente piuttosto ordinaria ed è appassionata di cinofilia. A 19 anni ottiene il certificato da addestratrice cinofila, si mette immediatamente alla ricerca di un lavoro e trova possibilità d’impiego in un centro militare, come insegnante. Passa la prova, ma le viene comunicato che sarebbe stata presa solo a condizione che sul libretto di lavoro (un documento, retaggio del sistema sovietico, che contiene tutta la storia lavorativa di un cittadino in Bielorussia) risultasse essere assunta come aiuto cuoco. Olga racconta:

“Il sistema creato  da Lukashenko, infatti, si fonda su una retorica conservatrice e misogina che, tra le altre cose, vieta alle donne di lavorare in determinati settori. Questo atteggiamento maschilista fa leva sulla parte più ignorante del paese. Lukashenko viene da una famiglia contadina, non ha una vera istruzione, e ha portato con sé questa mentalità arcaica al potere”.

Olga si vede quindi costretta a rifiutare questa prima occasione di lavoro.”Mi hanno discriminato. Era una proposta inaccettabile perché avrebbe interrotto la mia carriera sul nascere.”  Infatti in Bielorussia non si può essere assunti senza il libretto di lavoro e ciò che vi è scritto all’interno è l’unica dimostrazione della propria professionalità ed esperienza lavorativa precedente. “Sono stati questi i miei primi incontri con il sistema Lukashenko.” Dopo aver rifiutato si mette comunque in proprio e inizia a lavorare come addestratrice.

In questo periodo, Olga non è particolarmente attiva politicamente. “Seguivo gli avvenimenti che accompagnavano ogni elezione e referendum. Vedevo le proteste e la violenza con cui venivano represse. Non prendevo parte perché avevo paura” ricorda.  

Lukashenko, il primo presidente eletto della neonata Repubblica Bielorussa si muove frettolosamente per soffocare sul nascere il percorso democratico iniziato con la caduta dell’URSS. Nel 1996 indice un referendum truccato con il quale riesce a prolungare il proprio mandato da 5 a 7 anni e accentra su di sé il potere in modo tale da poter epurare gran parte dei deputati, da lui definiti sleali, dell’opposizione democratica. Da questo momento in avanti la situazione politica precipita, con Lukashenko che da una parte persegue ferocemente gli oppositori politici e dall’altra instaura nel paese una apparente vita democratica attraverso delle elezioni farsa che vince regolarmente con numeri da plebiscito utilizzando brogli, intimidazioni e rapimenti. Dei paesi dell’ex Unione Sovietica, la Bielorussia è l’unico in cui la polizia segreta di Stato conserva tuttora il nome di KGB: i metodi sono quelli.

Nel 2001 nasce Eugenio, il figlio di Olga. Anche la gioia di un momento così importante è rovinata dalla lunga ombra del regime. Lei è preoccupata perché avere un figlio maschio porta con sé delle conseguenze inevitabili: “Quando ho scoperto che era maschio ho pianto. E non erano lacrime di gioia. Erano lacrime che versavo perché pensavo già che a 18 anni lo avrei dovuto proteggere dalla leva obbligatoria.” 

Oggi Olga, ripensandoci, trova emblematica l’incapacità di immaginare l’ipotesi che, per quando il figlio sarebbe stato maggiorenne, il regime sarebbe potuto crollare: ”All’interno del paese si vive come in una bolla. In Bielorussia ci sono molte persone che non vedono la via d’uscita e hanno perso la speranza. Si vive ogni giorno con la convinzione che il sistema della dittatura sia eterno”.

L’Accademia di Belle Arti di Minsk

A 24 anni Olga ha quello che definisce una sorta di incontro miracoloso con l’arte. In un periodo molto difficile della sua vita si mette a disegnare, un po’ per gioco e un po’ per gestire lo stress. Un giorno porta con sé i disegni a casa di due amici pittori che ne restano sbalorditi: “Mi dissero, con la faccia seria, che dovevo assolutamente studiare…”. Dopo otto mesi di una lunga preparazione supera gli esami di ammissione ed entra all’Accademia di Belle Arti di Minsk. 

Il suo percorso all’università è eccellente, ma anche qui si trovano le tracce della dittatura di Lukashenko. Olga ricorda un episodio in particolare. Nel 2006, durante le manifestazioni contro gli ennesimi brogli, molti studenti dell’Accademia vengono arrestati per aver preso parte alle proteste e, una volta messo a tacere il dissenso il regime decide di andare a fare pulizia di tutte quelle strutture in cui albergava l’opposizione. Il direttore dell’istituto viene espulso e sostituito con un uomo del regime. Subito dopo, a essere preso di mira come voce fuori dal coro è l’anziano professore di disegno di Olga, “un uomo intelligente, preciso, uno spirito libero che tutti stimavamo”.  Le angherie nei suoi confronti vanno avanti per un po’, fino ad una mattina: “Quella mattina non si è presentato a lezione, una cosa stranissima vista la sua puntualità, e dopo poco abbiamo ricevuto la notizia che era stato trovato impiccato in casa propria”, ricorda Olga. 

Il professore aveva scritto una lettera d’addio ai suoi studenti: “In questa lettera ci diceva che non ce la faceva a sopportare gli abusi all’interno dell’istituto. Ha preferito togliersi la vita piuttosto che vivere quell’orrore”.

L’ultimo anno del corso poi, Olga viene convocata dalla direzione per rinnovare l’iscrizione al partito giovanile di Stato e pagare la quota dovuta. Lei però non si era mai iscritta a nessun partito, quindi all’Accademia qualcun altro doveva aver firmato per lei negli anni precedenti. 

 “Mi è stato detto così” ricorda Olga “dritto negli occhi: quest’anno se tu non firmi e non paghi la quota non verrai ammessa agli esami finali. Mi sono ritrovata di fronte alla scelta di andare contro il sistema o di ottenere il diploma per cui avevo tanto faticato. Ho dovuto firmare e mi sono sentita subito male. Il giorno della festa per il rilascio del diploma non mi sono presentata. Non era una festa per me, perché avevo percepito nella mia vita le mani della dittatura.”

Il lavoro come insegnante 

Terminati gli studi Olga entra come insegnante presso una scuola d’arte per bambini. È un’attività che le piace molto e in cui si impegna con passione. 

Tuttavia le scuole sono per Lukashenko un mezzo fondamentale per mantenere il controllo sulla società e, dice Olga, “in realtà come insegnante  si lavora più per il regime stesso che per l’istruzione dei ragazzi”. Ricorda, ad esempio, che almeno un quadro realizzato dagli alunni doveva avere un tema propagandistico e che lei, per disobbedire, si vedeva la paga ridotta. Inoltre, a inizio settembre ogni insegnante era tenuto a fare un lavoro quasi poliziesco di documentazione: “Ti danno dei fogli con i nomi delle famiglie da andare a visitare. Il tuo compito è scoprire se ci sono bambini, se hanno la residenza lì e se stanno andando alla loro scuola di riferimento o ad un’altra”. 

Con l’avvicinarsi delle  le elezioni del 2010 Olga si rende conto che gli insegnanti sono tenuti ad occuparsi dell’intero svolgimento dell’evento, dalla registrazione dei votanti allo spoglio delle schede. È la goccia che fa traboccare il vaso: “È il regime a rubare elezioni, ma lo fa con le mani degli insegnanti. Se fossi rimasta nel sistema dell’istruzione, sarei stata parte della macchina dei brogli. Ho capito di non voler far parte di questa macchina. Il lavoro che amo, insegnare l’arte ai bambini, non c’entra niente con quel sistema in cui ero costretta ad operare.” 

Le elezioni ci saranno comunque, anche senza Olga a prestare servizio e saranno falsamente vinte ancora una volta dal presidente al suo quarto mandato. Le proteste, pacifiche, verranno represse nel sangue e sette candidati dell’opposizione saranno arrestati. Il paese è in piena crisi economica oltre che politica e come se non bastasse ad aprile scoppia una bomba nella metro di Minsk. 

Il trasferimento in Italia

Olga doveva essere su quella metro perché stava andando ad un corso di italiano che aveva iniziato a frequentare; si trattiene però con un’amica a chiacchierare e si salva. In quel periodo Olga aveva scoperto l’Italia. Tramite alcuni amici che già conoscevano il paese, se ne innamora: “Passavo tantissimo tempo insieme a questa coppia di amici ed è grazie a loro che ho conosciuto la pasta, il risotto…ho iniziato a scoprire l’Italia senza esserci ancora mai stata!” ricorda Olga. 

Dopo un paio di anni si trasferisce in Italia a convivere con un italiano con cui ha nel frattempo iniziato una relazione e con cui pensa di sposarsi. La relazione dopo qualche tempo purtroppo termina, ma non la sua vita in Italia. “Io e mio figlio siamo rimasti qui. Ero partita per creare una nuova famiglia, per motivi personali, ma con gli anni le cose in Bielorussia sono andate talmente peggiorando che abbiamo scelto di restare qui per motivi politici. In questi sette anni in Italia ho passato dei momenti molto duri. Ho pensato più volte alla possibilità di tornare in Bielorussia…ma con un figlio ormai inserito in Italia, e che appena sentiva la possibilità di rientrare nel proprio paese era letteralmente terrorizzato, non potevo fare altro che restare.

Oggi Olga vive con suo figlio sul litorale romano, fa con successo la pittrice e segue affettuosamente la crescita del figlio, ormai ventenne. Inserita perfettamente nel tessuto sociale italiano, partecipa a varie mostre sul territorio, vende i suoi quadri e insegna a dipingere a un nutrito gruppo di giovani studenti, proprio come voleva fare nel suo paese. 

La pandemia, le elezioni e l’impegno politico

L’ultimo anno è stato per lei decisivo, come per tanti altri bielorussi in patria e non. La pandemia mondiale ha avuto un ruolo importante nel mostrare tutti i punti deboli del dittatore bielorusso. Mentre il virus imperversava, Lukashenko ne negava l’esistenza, la definiva una psicosi mondiale o la liquidava come una malattia poco grave da guarirsi a colpi di vodka e sauna. “Tutto il popolo è stato abbandonato in questa crisi. I medici erano senza mascherine, senza niente. Per la prima volta le persone si sono unite e hanno cominciato ad affrontare il problema da sole, ad esempio comprando mascherine e gel per le mani da donare agli ospedali. Tutto è stato organizzato dal basso. La pandemia è stata un punto di non ritorno nella mentalità delle persone. Uniti potevamo colmare le mancanze dello Stato”. 

Nel bel mezzo della crisi sanitaria, per l’agosto 2020, sono previste le nuove elezioni presidenziali. Lukashenko, per garantirsi il sesto mandato, utilizza i metodi che gli hanno fatto conquistare i precedenti: “La campagna elettorale si è svolta nel solito clima di terrore. E ora in più c’era la pandemia” dice Olga. 

Tre dei candidati principali dell’opposizione (Tsepkalo, Babaryko, Tikhanovskij) non arrivano nemmeno al giorno del voto, il primo costretto a fuggire con la famiglia temendo per la propria incolumità e gli altri due arrestati con accuse pretestuose poco dopo aver presentato la propria candidatura. Nasce così un nuovo movimento tutto al femminile, formato dalle mogli rispettivamente di Tsepkalo e Tikhanovskij e dalla manager della campagna elettorale di Babaryko. Questa volta l’opposizione correrà unita, con Svetlana Tikhanovskaya candidata.

Poche ore dopo la chiusura dei seggi, con gli organi di Stato che davano Lukashenko vincente con un improbabile 80% di voti, migliaia di manifestanti pacifici cominciano a invadere le strade per mostrare così l’infondatezza dei risultati ufficiali. Le proteste, che proseguiranno nelle settimane e nei mesi a venire, sono qualcosa di inedito per la Bielorussia e le più estese che il paese abbia mai conosciuto.

Olga decide di voler fare la sua parte mettendo la sua arte al servizio della causa, realizzando quadri, poster e disegni a sostegno dell’opposizione nel suo paese. Uno dei suoi quadri a cui è più legata è quello di Nina Bahinskaja, anziana bielorussa simbolo del coraggio delle proteste nel paese: “Questa è la nostra immagine simbolo della protesta femminile. Per questo dipinto in Bielorussia io rischio fino a quasi tre anni e mezzo di reclusione!”. 

La sua attività l’ha resa un bersaglio del regime, ed ha eliminato ogni chance per lei e per il figlio di rientrare nel proprio paese fin quando Lukashenko sarà al potere. Per queste ragioni Olga ha scelto di fare richiesta d’asilo politico in Italia: “Da luglio abbiamo iniziato a prendere parte alle proteste con mio figlio da qua. Abbiamo preso una posizione politica attiva e questo ci mette seriamente a rischio qualora dovessimo tornare in Bielorussia. La nostra domanda di asilo politico avviene in un momento molto difficile per il nostro paese.”