Dove e come hai scoperto la fotografia? Quale è stato il tuo percorso fino ad oggi?

Il cinema è stato il mio primo amore, da bambino sognavo di diventare un regista, non un fotografo. Ma ho sempre amato viaggiare e ho cominciato a fotografare per trattenere un po’ di quelle emozioni provate sulla mia strada. Totalmente autodidatta, quello che so l’ho imparato sbagliando e sbagliando ancora sul campo.

Come scovi ed accedi ai luoghi che poi fotografi? Come descriveresti il tuo processo di ricerca?

Internet è la fonte principale. La ricerca è una delle fasi del mio lavoro che amo di più, mi sento il protagonista di un’avventurosa caccia al tesoro e le coordinate geografiche sono la X dove scavare. Poi capita raramente di trovare qualcosa di interessante mentre mi sto dirigendo verso un posto che ho già nella mia mappa; in quel caso si tratta di una vera e propria serendipity. L’accesso è quasi sempre di fortuna.

Ti muovi da solo in questi posti?  Hai qualche consiglio per chi si vuole avvicinare alla fotografia di luoghi abbandonati?

Ho esplorato spesso da solo, anche all’estero, ultimamente mi accompagna un amico. L’unico consiglio è quello di essere prudenti, alcune case fatiscenti sono estremamente pericolose e sarebbe stupido farsi male solo per qualche foto “acrobatica” in più.

Il titolo del tuo libro “Fenomenologia della Fine” sembra un buon sunto di molto del tuo lavoro. Che rapporto hai con il tempo che passa, la caducità delle cose e la decadenza? La fotografia in tutto questo che ruolo gioca?

All’inizio fotografavo questi edifici per tenere traccia dei luoghi prima che scomparissero. E poi ho capito che c’era una bellezza, un’estetica, che emergeva con forme, colori e luci. Non cerco necessariamente l’abbandono, ma piuttosto la patina del tempo.  La fotografia quindi mi ha offerto spunti di riflessione sulla natura effimera della natura umana ma anche sulla possibilità di sopravvivere attraverso l’arte e la cultura.  

In “Ecce Homo” affronti il tema degli ospedali psichiatrici esplorando ciò che rimane di queste strutture. Cosa ti ha portato in questi luoghi? Le esplorazioni di questi ti hanno lasciato qualcosa di particolare?

Sono stati luoghi di dolore e sofferenza quindi il mio approccio durante l’esplorazione è di massimo rispetto. Non provo inquietudine quando varco quelle soglie, anzi, quasi un senso di pace. I miei scatti di quegli ambienti sono molto luminosi, cerco di drammatizzarli il meno possibile.

In che modo la filosofia di John Ruskin caratterizza il tuo lavoro?

Un tema di Ruskin che mi è molto caro è quello del ricordo, poiché egli parte dall’affermazione dell’importanza del rapporto esistente tra la natura e l’opera dell’uomo, asserendo come il ricordo renda più prezioso un elemento architettonico in confronto al suo rinnovamento fittizio. Proprio l’architettura ci dona il pensiero del ricordo, facendo da collante fra natura e opera.

Il libro “Usage du Monde” di Nicolas Bouvier ha condizionato molto il tuo modo di raccontare la realtà. Cosa ti ha colpito particolarmente di questo libro e perché lo consiglieresti?

Mi ha colpito per la curiosità, la sete di conoscenza e per l’idea di viaggio del suo autore : “Non si viaggia per addobbarsi d’esotismo e di aneddoti come un albero di Natale, ma perché la strada ci spiumi, ci strigli, ci prosciughi…”

Hai in mente di realizzare un giorno progetti fotografici che includono anche figure umane? 

Ho fatto qualche esperimento alcuni anni fa ma poi ho capito che la presenza umana pervade già questi luoghi, più di quanto si possa immaginare, non è necessario aggiungerne altre.

Che cosa suggeriresti ad un aspirante fotografo all’inizio del suo percorso?

Di mettere amore e anche un po’ di ossessione in quello che fa. Quello che ha fatto di me un fotografo è stata l’attrazione sconfinata per questi soggetti, se avessi avuto altri talenti forse avrei scritto di questi posti o magari li avrei dipinti.

Un artista che vuoi suggerire a chi legge? Perché?

Edward Burtynsky, forse il fotografo vivente che ammiro di più in questo momento. Da oltre trent’anni documenta l’antropizzazione del mondo, l’opera di trasformazione dell’ambiente naturale attuata dall’uomo per soddisfare le proprie esigenze e migliorare la qualità della sua vita, spesso però, a scapito dell’equilibrio ecologico. I suoi lavori sono a dir poco maestosi.

I tuoi prossimi progetti?

In autunno sarò presente in alcune collettive, al Festival del Tempo di Sermoneta e ai Trieste photo days. Sto anche preparando il mio prossimo tour fotografico nel Sud Italia.

 

Credits: Nicola Bertellotti

Ecco alcuni contatti per seguire tutti i suoi lavori:

Instagram: https://www.instagram.com/nicola_bertellotti/?hl=it

Website: http://www.nicolabertellotti.com/

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