Murat Harmanlikli è un fotografo turco che lavora in bianco e nero. L’amore per la strada, e le folle che la abitano, traspare dalle sue immagini.

In questa intervista, tra le altre cose, racconta del suo paese, di alcuni elementi ricorrenti della sua fotografia, dell’influenza che  Dostoevskij ha avuto su di lui.

Come hai cominciato con la fotografia?

È stata una coincidenza iniziata con l’acquisto di una fotocamera Zenith mentre camminavo per Istanbul durante il mio secondo anno di università. Un anno dopo mio padre mi portò una Minolta dalla Germania e, nel frattempo, io avevo iniziato ad usare il bianco e nero e avevo avuto la fortuna di scovare una piccola camera oscura nella  mia città, Izmit. Il lento procedimento procedimento che fa apparire il bianco ed il nero delle immagini mi conquistò. Da là è iniziato tutto.

Ti definisci un “flaneur”, un tipo reso famoso da Baudelaire. Cosa ti fa identificare con questa figura? Come condiziona la tua fotografia?

Baudelaire introdusse questa figura nel suo saggio “Le Peintre de la vie Moderne”, che così lo descriveva: “Per il perfetto flaneur, per lo spettatore appassionato, è una gioia immensa installarsi al centro della moltitudine, al centro del movimento, nel mezzo di ciò che è sfuggevole e dell’infinito. Essere lontani da casa, ma sentirsi allo stesso tempo ovunque a casa propria; vedere il mondo ed esserne al centro, ma allo stesso rimanere nascosti dal mondo.”

La prima volta che ho letto questo saggio breve e ho incontrato il temine “flaneur”, l’ho sentito subito molto vicino, molto familiare, poiché è da quando mi ricordo che amo girare per le strade come un cane randagio. Mentre mi assimilo nella folla, tra la quale mi nascondo e mi perdo, riesco a sentire l’anima delle strade. Il suono di un traghetto, il rumore di pneumatici che corrono sull’asfalto bagnato, l’odore del mare o la muffa che si sente provenire dalla porta aperta di un vecchio appartamento…tutte queste cose mi fanno sentire come fossi in una poesia. Perciò, tutto ciò che voglio realizzare nella mia fotografia è riflettere questa poesia che viene fuori dal mio modo di vedere il mondo.

Molte delle tue foto in bianco e nero hanno come soggetto dei ragazzini di strada. Cosa ti affascina di questi personaggi?

Posso dire, molto semplicemente, che mi piacciono i ragazzini che giocano per strada. Ho 45 anni e delle volte mi sento ancora un bambino, come tutti….sono sempre sorprendenti e gioiosi. Se ci parli e li metti a loro agio, se si sentono di fidarsi di te, puoi realizzare degli scatti incredibili.

Rumi disse: “La luce che brilla nei tuoi occhi è in realtà la luce del tuo cuore. Sono tanto sconcertato dalla magnificenza del tuo splendore e spero di vederti con centinaia di occhi…”. Insomma, amo la luccicanza negli occhi dei ragazzini, mi tiene in vita.

Come descriveresti da fotografo l’estetica dei luoghi che fotografi in Turchia? Quali sono gli elementi che ti attraggono di più?

A dire il vero il luogo per me non ha importanza. Poiché porto sempre con me la mia fotocamera, posso fare foto ovunque mi trovo. In una macchina, nella stazione degli autobus o in un cafè…non si può sapere dove il tuo scatto ti incontrerà, sempre che tu tenga gli occhi aperti. In genere lavoro nella mia città, Izmit, che si trova 100km a est di Istanbul…e poi ovviamente proprio a Istanbul, una città che è innegabilmente un tesoro per quel che riguarda la street photography.

Specchi, vetrate e riflessi sono un elemento ricorrente nelle tue immagini. Che ruolo hanno questi elementi nel tuo immaginario.

Non so spiegare perché questi elementi sono ricorrenti nella mia fotografia. Forse potrebbe essere perché ognuno di noi ha le proprie ossessioni; o magari come forma di espressione simbolica della vita, che consiste di ripetizioni. Certamente c’è qualcosa degli specchi, dei riflessi e dei vetri che mi attrae enormemente. Danno un che di oscuro alla storia che voglio raccontare…e si sa che la vita è quasi sempre incerta, almeno la mia.

D’altro canto, apprezzo molto i motivi ricorrenti all’interno del portfolio di un artista, se utilizzati con uno scopo preciso. Per esempio, nei tre film della trilogia de “Tre Colori” di Krzysztof Kieslowski, si ripete la scena in cui un anziano fatica a mettere una bottiglia nel cestino e, in ogni film, questa immagine rappresenta qualcosa di diverso: in uno parla di libertà, in un altro di uguaglianza e nell’ultimo di fratellanza.

La serie “Passengers and Strangers” è introdotta da un pezzo preso da Delitto e Castigo di Dostojevskij che va così: “Capite, egregio signore, capite cosa significa quando ci si ritrova senza un posto dove andare? Perché ognuno di noi deve avere un posto dove andare”. Quale è il tuo posto dove andare ? Come si lega il passaggio di questo libro al tema della serie?

Si! I libri di Dostojevskij hanno avuto un grande impatto sulla mia vita e sulla mia fotografia. Come disse Borges: “Proprio come il primo innamoramento, o la prima volta che si è visto il mare ; scoprire Dostojevskij è una data importante nella vita di una persona.”

Per questa serie ho scelto di lavorare soprattutto sulla folla invernale dell’ora di punta. Aspettavo alle fermate del bus e mi muovevo tra quella società fatta di cappotti neri, osservando le persone e le espressioni sui loro volti. Questa scena mi faceva immaginare queste persone come in fuga dalla solitudine, mentre cercano di raggiungere un luogo, o una persona, che li salvi immediatamente. Mentre me ne stavo al centro di quel folle via vai, mi è venuta in mente che Marmeladov dice in Delitto e Castigo: “Capite, egregio signore, capite cosa significa quando ci si ritrova senza un posto dove andare? Perché ognuno di noi deve avere un posto dove andare”.

Sei anche un editor per la pagina “Friends in Profile”. Ci dici di più di questo progetto e se avere il ruolo di editor ha cambiato in qualche modo la tua percezione della fotografia?

Sai, ci sono numerose pagine che fanno featuring fotografici su Instagram. Il nostro è composto da sei amici, e il fondatore è Nazilla, una persona dal cuore d’oro. Il mio obiettivo, da raggiungere insieme ai miei compagni Najl’aa Dadbar e Iris Maria Tusa , è mostrare fotografie che non siano solo belle ma che raccontino anche una storia, senza pensare ai “like”. Credo questo faccia la differenza rispetto alle altre pagine.

Innanzitutto, fare l’editor per @friendsinprofile mi ha fatto passare più tempo su Instagram alla ricerca di belle foto e mi ha reso anche più socievole. Inoltre mi ha permesso di partecipare al primo International Istanbul InstaMeet e questo mi ha permesso di conoscere di persona molti ottimi fotografi.

Il miglior consiglio che hai ricevuto come fotografo?

A dire il vero, non ricordo. In quanto fotografo autodidatta, non è che abbia ascoltato molti consigli. In ogni caso, ognuno di noi vive vite diverse e guarda il mondo da diverse prospettive…se qualcosa magari funziona per te, non è detto che per me sia lo stesso. 

Ciò in cui credo profondamente è che se diamo abbastanza importanza alla fotografia, se davvero ci impegniamo a capire come funziona, troveremo certamente la nostra strada. Ovviamente non sto dicendo di non ascoltare i consigli! Al contrario, si dovrebbe ascoltarli tutti ma, alla fine, è quello che pensi tu a contare e non quello che pensano gli altri.

Un artista che vuoi consigliare? Perché?

Ce ne sono molti. Mi piacciono quelli che sono in grado di mostrare il mondo attraverso l’unicità del proprio sguardo. Ultimamente sono soprattutto i fotografi iraniani ad aver preso la mia attenzione…

Prossimi progetti?

Ultimamente stavo scrivendo racconti. Nel mio prossimo progetto voglio unirli alle mie fotografie. Con un po’ di editing vorrei realizzare un qualcosa di simile ad un fotoromanzo!

Credits: Murat Harmanlikli

Ecco alcuni contatti per seguire tutti i suoi lavori:

Instagram: https://www.instagram.com/murat.harmanlikli/

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