Daniel-A. von Johnston è un determinato giovane fotografo italiano che si sta facendo conoscere nel settore attraverso l’esplorazione e la ricerca di uno stile nuovo e riconoscibile. I progetti fotografici che realizza sono vari: da una fotografia più documentaristica, come in VAIA, a progetti più concettuali, come in GUNS, fino a lavori contemporaneamente intimi e sperimentali, come in Periculum e I see the star moving. Nell’intervista che segue ci parla del suo percorso, dell’evoluzione dei suoi progetti, del suo rapporto con i social e molto altro ancora…buona lettura.
Qual è la tua formazione e come ti stai avvicinando al mondo professionale?
A tentoni e con le unghie ci sto arrivando! È una strada molto difficile oggi come oggi, piena zeppa di concorrenza sleale!! Chi è oramai un professionista? Chi è sotto i riflettori…
Ho studiato alla Naba la triennale di grafica e art direction, che mi ha dato le basi per far crescere una mente creativa. Ho poi lavorato come Art junior in una agenzia, ma la monotonia mi ammazza, quindi ho iniziato la mia gavetta per diventare “professionista”. Ho lavorato come assistente di studio in alcuni studi fotografici di Milano, per poi trovare un master curato d Francesco Zanot e Luca Andreoni, loro sono professionisti! Questo master in fotografia artistica (photography and visual design) mi ha aperto la mente e proiettato sul mondo della ricerca, che oggi porto avanti passo dopo passo. Chissà come è fatta la mia strada, nessuno lo sa…
Nella serie Guns interpreti le pose che prendiamo quotidianamente utilizzando i nostri smartphone in chiave western. Da un punto di vista pratico, come hai realizzato questo progetto? Quali stratagemmi hai adottato per catturare le scene di cui avevi bisogno.
Ho iniziato a realizzare questo progetto cercando di rubare gli scatti. Mi appostavo in luoghi molto affollati e di transizione, come può essere entrata/uscita della metro, ingresso delle università, ecc. Ma dopo due settimane di tentativi avevo portato a casa 1 solo scatto buono su 40! Così decisi di ribaltare il mio approccio, usando dei modelli. Prefissavamo un percorso e ogni quanto avrebbe dovuto estrarre il telefono in modo naturale e disinvolto. Iniziavo così a seguirlo di nascosto. I soggetti che ho selezionato per l’editing finale, sono coloro che maggiormente sono riusciti a entrare in sintonia con il ritmo prestabilito e con me.
La serie SAT (Strong Alien Terrain) si fonda sulla convinzione che “La mente umana crea continuamente associazioni visive e verbali” e che “i colori fanno lo stesso con le emozioni.” Quali linee guida di accostamento cromatico hai scelto per raggiungere il fruitore delle tue immagini?
Questa è una seria fatta di pancia! Una serie che si basa totalmente al caso e all’abbandono di ogni logica, come è stato quel viaggio per me.
Non c’è una linea guida per la decisione degli accostamenti cromatici. L’unica guida è stato il mio corpo e le sue sensazioni davanti agli eventi.
Lasciare che le sensazioni fruiscano dalla pancia per tradurle in questi accostamenti, in un modo che è dettato dal caso e non da una logica sequenziale. Questo è quello che ho fatto io mentre creavo le basi di questa serie sul volo di ritorno per casa.
Questa grammatica di linguaggio mi ha portato ad intraprendere una ricerca sulla manipolazione dell’immagine attraverso il colore e la decontestualizzazione dell’immagine stessa.
Nel progetto VAIA racconti il disastro lasciato dal passaggio della tempesta in Alto Adige nel 2018. Come è nato questo progetto?
Ricordo che ero ad un bar ed un professore mi ha chiesto se avevo saputo della tempesta che aveva investito le mie aree, abbattendo milioni di alberi. Non appena ho verificato la notizia, sono tornato a Bolzano e con lo zaino in spalla sono salito in macchina fino a Carezza, per concentrarmi su ciò che era accaduto in Val d’Ega, un’area in cui siamo cresciuti sia io che mia madre e di cui mio nonno mi ha sempre parlato….c’è un fortissimo lato emotivo in questo progetto.
Arrivato sul luogo sono rimasto senza parole ed ho iniziato a scattare senza riflettere. Scattavo, scattavo e scattavo. Rientrato a Milano ho fatto vedere ciò che avevo realizzato ai miei professori che mi hanno spinto a proseguire il progetto. Sono risalito su quindi non appena l’inverno è finito, cercando di essere lì sempre con gli stessi cieli -dei cieli gravidi e tempestosi- in modo da riuscire a riprodurre la stessa atmosfera delle mie foto fatte d’inverno.
Scrivi, per presentare VAIA, che “l’atto artistico è volto a sensibilizzare e accompagnare il fruitore”: in quali elementi del progetto sono visibili le tracce di questo tuo obiettivo?
“…sulla riflessione del processo di perdita, assenza e rinascita, in una infinita e naturale ciclicità degli eventi.”
Attraverso la distruzione, l’attesa e la rinascita. Sono le tre fasi, o atti come li definisco io, del progetto. L’atto della distruzione, ovvero la perdita, si è terminato quando i boschi della val d’Ega sono stati tutti ripuliti dai tronchi abbattuti. Gli elementi sono gli scenari che ho documentato! Attraverso quindi il senso di devastazione che queste immagini ti lasciano.
Non voglio urlare a chi guarda questo progetto di fare la differenziata! Ma cerco di farlo ragionare sulla capacità distruttiva della natura e su quanto essa si stia ribellando sempre più attraverso catastrofi simili.
I see the stars moving è una delle tue serie dove ti concentri sul cielo e le stelle, attraverso uno stile personale e non canonico. Come sei arrivato a questo tipo di realizzazione?
Riprendendo un discorso di un prof che ci consigliava di superare le diverse soglie che abbiamo di fronte tramite l’assimilazione di ciò che impariamo e viviamo. Il modo che ho scelto di fotografare il cielo e le stelle in questa serie, con tanta apparente” imperfezione”, è proprio perché conosco la tecnica, so come si scatta in modo corretto e quindi scelgo coscientemente di non seguire il canone per far sì che il momento che vivo, abbandonando consapevolmente la tecnica, si riveli per ciò che realmente è.
Come nasce un progetto simile?
In realtà, dal caso più assurdo. Ero tornato a Bolzano da Milano e dopo un paio di birre con il migliore amico lo convinco ad accompagnarmi a fare un sopralluogo dove il giorno dopo sarei dovuto andare a fotografare un gara di cross. Mentre andiamo in macchina con la musica a palla, io tiro fuori la macchinetta fotografico e inizio a girare le ghiere a caso, seguendo questa perdita di concezione, di nozione e di sapere…E così dal finestrino, appoggiandomi sulla spalla del mio amico, tenendomi al tettuccio della macchina ho realizzato tutte queste immagini.
Poi, riguardandole per giorni, sono riuscito a tirare fuori questo progetto.
Anche nel progetto Periculum torna il tuo immaginario visivo legato alle stelle ed al cielo. Da dove viene fuori?
Questo è un progetto realizzato a due mani con un compagno del Master che purtroppo, dopo un incidente in moto, ha sofferto del Danno Assonale Diffuso. Questo significa che ancora fa fatica con la memoria a breve termine…
Il giorno in cui alla NABA ci hanno proposto il tema del progetto (“Where are we now, anyway”) si sono subito incrociati i nostri sguardi e abbiamo deciso di farlo insieme e, dopo avermi spiegato un po’ più approfonditamente il trauma subìto, abbiamo capito che sarebbe stato proprio il suo Danno Assonale ad essere il cardine del nostro lavoro.
Dopo aver contattato un neuro-psichiatra che ha scritto la parte scientifica del progetto, ovvero di come la rottura del legamento neuronale (assone), in seguito ad un trauma molto forte, abbiamo deciso di voler rappresentare il momento dell’urto, dell’esplosione, della rottura, seguito dal caos successivo ed al punto piatto – che corrisponde all’impossibilità di comunicazione- finale.
L’idea è piaciuta molto a Francesco Jodice, che però ci ha chiesto di abbinare una parte sociale al progetto…così abbiamo deciso di collegare a questo tema quello della dittatura intesa come trauma della società che va a distruggere i punti di comunicazione tra un essere umano ed un altro.
Questo lavoro è stato molto apprezzato ed ha vinto una menzione del APA International Photo Award
Si percepisce la tua apertura all’esplorazione di vari stili e temi. Presente di rado rimane però la figura umana. A cosa è dovuta questa scelta? Cosa ci può dire del tuo rapporto con la fotografia?
Per me, per riuscire a creare un’immagine che sia forte, devo prima entrare in contatto con ciò che mi circonda durante lo scatto. Penso, quindi, che la figura umana sia così assente per via di questo legame che si deve creare tra fotografo e soggetto. Infatti gran parte delle fotografie che ritraggono un corpo posato, era il corpo della mia ex fidanzata. Escludo però, da questa necessità, il lato commerciale della fotografia. …
Quale è stato il tuo primo progetto fotografico che hai sentito “completo”?
Ero ancora al Triennio, in un periodo in cui ero un po’ giù di morale, quando una delle mie professoresse mi ha consigliato di contattare la fotografa Sara Munari, la quale stava tenendo una serie di workshop. Effettivamente il prossimo sarebbe stato a New York…e, non avendo nulla da perdere, ho preso e sono partito.
Ho deciso ancora prima di partire che avrei raccontato la giornata tipica dei pompieri di New York, e dopo ore di telefonate dal mio telefono fisso di casa sono riuscito a parlare con un capitano di distretto che mi ha dato il suo ok.
Una volta arrivato ho passato cinque giorni con loro, seguendoli nei vari interventi che svolgevano. Considero le immagini che ne sono venute fuori come il preludio e l’inizio della mia fotografia. Loro erano un gruppo di persone stupende che mi hanno accolto nella loro famiglia in una maniera bellissima!
Questo primo lavoro è certamente molto più di reportage e documentaristico rispetto agli altri tuoi lavori. Pensi di riprendere questa strada più fotogiornalistica? Hai già in mente qualcosa in questo senso?
Assolutamente sì. Questo tipo di lavoro infatti mi da’ l’opportunità di conoscere tanta gente, di viaggiare parecchio, oltre che avvicinarmi ad i miei obiettivi professionali.
Effettivamente, durante quest’ultimo lockdown, ho passato dei giorni in una casetta che abbiamo in montagna e lì ho trovato il libro di Herman Hesse “Pellegrinaggio verso Oriente” che mi ha ispirato a condurre una ricerca sulle orme, sulle tracce, di un qualcuno che abbia fatto qualcosa di grande viaggiando attraverso l’Europa. Al momento sto cercando un soggetto da poter narrare durante un viaggio.
Da dove trai idee per i tuoi progetti?
Vale come risposta l’ozio e la perdita di “lucidità”?! Scherzi a parte, dipende! Guns mi è venuto appena i nostri professori ci hanno commissionato il tema, Vaia per la mia curiosità e pian piano si plasma e si forma. Altre idee vengo dalla necessità che a volte provo nel volermi interrogare. Diciamo che i progetti ci aspettano lungo il nostro sentiero, sta a noi saperli raccogliere e svilupparli al meglio.
Qual è il tuo rapporto con i social?
Amore e odio. Li trovo la morte dell’immagine, la morte di un mondo che esisteva prima dell’uscita di FB. Sono sfruttati male secondo me, è fin troppo difficile emergere dai bassi fondi di un profilo poco visto/seguito. Secondo me ci dovrebbe essere un filtro che distingua chi usa i social per comunicare un messaggio e per chi usa per svago. Di talenti e di belle immagini ce ne sono tante e troppe che si perdono senza riuscire a esprimere ciò potrebbe realmente esprimere.
Un artista che ti senti di consigliare?
Sebastien J. Zanella, lo consiglio per la capacità poetica delle sue immagini, un po’ malinconiche a primo avviso, ma soffermandosi si può gustare tutto il momento che ha avvolto quegli scatti. Inoltre apprezzo la sua abilità nel raccontare tante piccole storie attraverso i suoi pochi scatti ed una attenzione particolare verso ciò che non è usuale.
Hai qualche nuovo progetto su cui stai lavorando? Quale?
Si, ma è ancora troppo tra le nuvole! So e voglio che questo progetto si sviluppi lungo un viaggio, lungo le orme di qualcuno. Sarà molto probabilmente un reportage, spero supportato da un libro, se trovo uno sponsor!!
Credits: Daniel Alexander von Johnston
Ecco alcuni contatti per seguire tutti i lavori di Daniel Alexander von Johnston:
Instagram: https://www.instagram.com/vonji_/
Website: https://www.vonjohnston.com/