Bunty Gandhi è un fotografo indiano che rappresenta con il suo lavoro il meglio della street photography del suo paese.
In questa intervista, tra le altre cose, spiega il lavoro che fa per vivere, la sua percezione della realtà indiana e gli obiettivi del collettivo fotografico di cui fa parte.
Come è iniziato il tuo rapporto con la fotografia? È il tuo lavoro principale?
La fotografia non è il mio lavoro principale…io mi occupo di contabilità! A metà 2016 stavo attraversando un periodo piuttosto duro della mia vita e per superare questa fase ho iniziato a scattare immagini di ciò che mi colpiva. Mio nipote poi mi consigliò di caricare il tutto su Instagram. Nei primi tempi fotografavo tutto ciò che incontravo, ma lentamentamente ho iniziato a sviluppare la mia passione per la street photography in particolare…anche se allora ero ancora molto lontano da comprendere a pieno questo stile.
Quali sono gli elementi che caratterizzano la fotografia nel tuo paese? Qual’è lo stato di questo medium in India?
Ci sono molte differenze… L’India è un paese così variegato. Per quanto riguarda la fotografia street, di viaggio e documentaria, questo paese è un vero paradiso per i suoi colori, i suoi festival, la sua diversità e le tante tradizioni che lo abitano. Direi che la fotografia, come medium, vive un buon momento in India. Gli street photographer del mio paese sono stati acclamati da molte platee internazionali. Nonostante questi ultimi anni, con i social media, hanno spinto i fotografi a fare un po’ troppa attenzione ai like e ai numeri, abbiamo ancora un gran numero di ottimi artisti.
Come descriveresti l’India visivamente? Come si sta evolvendo nella commistione tra modernità e tradizione? Tutto questo influenza la tua fotografia?
Come ho già detto, l’India è un paese molto vasto e variegato. Sento che ci sono molti legami che ci tengono uniti nonostante le tante religioni, lingue, culture ed etnie diverse. Tutto convive. Abbiamo accettato i cambiamenti portati dalla modernità, ma non abbiamo abbandonato le nostre tradizioni. È un modo per celebrare la vita. Come fotografo cerco di trasportare questi echi e queste sensazioni contrastanti nelle mie immagini. Bisogna semplicemente osservare, sentire e connettersi.
Molti dei tuoi scatti propongono un punto di vista particolare o inusuale. Perché?
Le prospettive inusuali non si sviluppano da un giorno all’altro…ma un processo di apprendimento continuo. Nel mio caso, sono le mie limitazioni -per equipaggiamento o personali- che mi hanno fatto focalizzare sulle cose in un modo diverso. A partire da questo si riescono a sviluppare visioni, idee e connessioni tra gli elementi…si inizia a comprendere l’universo come mai prima. Insomma quello che conta è il processo, ed è importante conoscere il percorso giusto.
Sei interessato a portare la tua street photography fuori dal contesto indiano? Dove?
Certo, sarebbe fantastico! L’idea può fare quasi paura a uno come me che ha realizzato gran parte delle sue fotografie in una singola piccola cittadina. L’India offre così tante cose che ancora devo esplorare. Città come Delhi, Calcutta e Varanasi sono le mie priorità. Fuori dal mio paese vorrei molto visitare i paesi asiatici, come il Bangladesh e l’Indonesia…tutti posti che hanno molta generano una grande attrazione per la street photography. Per finire, dalle foto che ho visto, trovo i colori di Cuba molto affascinanti!
Fai parte del collettivo iSPC (India Street Photography Collective) . Qual è l’obiettivo di questo progetto? Quanto credi sia importante fare parte di un collettivo per arricchire la propria fotografia?
Sono entrato a fare parte di questo collettivo solo recentemente e tutto il progetto è ancora nelle sue fasi iniziali…il nostro obiettivo è dare risalto a quella street photography di qualità indiana che risponde ai parametri internazionali. Credo sia fondamentale seguire i collettivi anche se non se ne fa parte…è .così che si vengono a conoscere i lavori dei grandi di tutto il mondo. È un aspetto importantissimo del processo di apprendimento.
Quale credi sia il ruolo dei social media nel portare la fotografia nei paesi definiti in via di sviluppo? Come credi questi condizionano l’idea abbiano degli altri paesi?
Indubbiamente i social media giocano un ruolo fondamentale. Sai, un buon fotografo rimane un buon fotografo anche senza social media…ma è con i social media che sempre più fotografi che lo meritano stanno ricevendo la giusta visibilità. Mi sembra che la street photography abbia guadagnato maggiore popolarità nei paesi in via di sviluppo proprio grazie ai social media. Ovviamente cambiano l’idea di che si ha dei paesi lontani, facendo scoprire spesso molti aspetti culturali che non si conoscevano.
Quale credi sia la più grande incomprensione degli stranieri che visitano il tuo paese?
Ricordo che una volta vidi un bus di turisti passare per la mia città. Si fermò per un po’…e vidi subito due turisti fotografare le pattumiere e le mucche che cercavano cibo lì dentro. Erano così eccitati, questi due, che chiamarono anche i loro amici. Ma le cose stanno cambiando. Questa è una incomprensione enorme. L’India è molto più di questo…conosco molti fotografi che vengono spesso qui e sentono che ogni viaggio qui è un’esperienza che cambia la vita. Non avremo la ricchezza dei paesi occidentali, ma certamente non siamo più solo il paese degli incantatori di serpenti!
Il fotografo che ti ha più influenzato? In che modo?
Vineet Vohra. È una leggenda. Ho scoperto i suoi lavori solo nell’agosto 2017, ma le sue immagini mi hanno influenzato come nessun altro. Ho passato molto tempo a parlare delle sue foto con gli amici…solo dopo aver visto i suoi scatti ho capito veramente cos’è la street photography. Amo come connette così tanti elementi nelle sue fotografie: il suo lavoro di stratificazione è splendido.
Ci sono poi molti altri come Gabi Ben, Stan De Zoysa, Suresh Naganathan, Himanshu Thakur, Anirudhha Guha, Vipin Singh, Maciej Dakowicz…
I tuoi prossimi progetti?
Sto pianificando di realizzare delle serie un po’ più tematiche. E, un altro progetto che voglio realizzare, è “Life in Coastal Areas”.
Credits: Bunty Gandhi
Ecco alcuni contatti per seguire tutti i suoi lavori: